Vita di Mare

"> Mare puro Vita vera

domenica 19 luglio 2009

Vendo tutto e parto

Santa Maria, Giovedì 30 Marzo
E’ mattina presto, il sole è alto. Il vento è sveglio; crepita, chiama a raccolta barche, catamarani, surf, kite. Ha voglia di gonfiare rande e fiocchi, di soffiare nelle vele arlecchine dei windsurf, nei panciuti paracaduti dei kite. E’ presto: il popolo dei velisti vacanzieri dorme. Ma il vento, no, lui non dorme, ha voglia di giocare. Corre sul mare, arriccia onde, le modella in merletti di spuma e poi le rotola giù, sulla spiaggia, come un bambino in un torneo di biglie; spingendole con lo scatto dell’indice sul pollice, dopo aver formato una specie di “o”. Sfaccendato teppistello, svolazza in lungo e in largo per la spiaggia immensa, ancora deserta. Annoiato, fa il solletico a qualche ombrellone chiuso, le balze di tessuto fremono dal ridere; solleva manciate di sabbia fina in microscopiche trombe d’aria. A un certo punto, s’imbatte nell’aquilone di un ragazzino nero. Lo acchiappa, lo fa ballare a scatti, su e giù, in un ritmo di percussioni afro-reggae e l’accompagnamento di una chitarra triste e allegra, un po’ scordata. Il ragazzino trattiene il rocchetto del filo con forza, concentrato, gli occhi appiccicati all’aquilone. La bocca spalancata. La corona di denti, bianchissima, spicca sul nero come una collana di perle.
Sbadiglio felice. Aspiro la salsedine dalle narici e passo la lingua sulle labbra salate. Mi avvio lemme lemme al Centro Culturale per vedere se c’è qualche messaggio di posta elettronica, stiracchiandomi lungo la strada come un gatto. Entro nel Centro: pareti spennellate di colori vivaci, piante tropicali che spadroneggiano rigogliose ovunque. Mi affaccio sulla postazione, fiducioso di trovarla libera. E invece no. L’unico pc del Centro è occupato da una signora francese, intravedo le sue annotazioni in un quadernetto aperto. Delicata, assorta, fissa con attenzione il monitor, mangiucchia l’unghia del mignolo sinistro e sbatte le ciglia. I nostri sguardi si incrociano; il suo chiede aiuto, il mio lo offre. Le sorrido, mi siedo accanto a lei e salviamo insieme su un cd le mail di auguri inviate a uno dei suoi quattro figli. “Così gli faccio una sorpresa a Jean, sai, oggi compie sei anni: è il primo anniversaire in barca, da quando siamo partiti.”. Ricambia il mio sorriso, scandisce le parole lentamente, per farmi capire. Le do una mano con piacere. Facciamo tutto in due secondi.
Appena abbiamo finito, la signora, Amélie, ricaccia nella borsa di corda il suo cd, il quadernetto con la copertina in foglie di banano essiccate, una matita rossa. Mi congeda in fretta. “Merci beaucoup, e scusami se ti ho fatto perdere un sacco di tempo!” dice; in realtà non vede l’ora di svegliare Jean e leggere insieme a tutti quanti gli auguri che vengono da lontano, e per questo ancora più cari. “Figurati, tra l’altro mi sono dimenticato il foglietto delle password,” mento spudoratamente “devo tornare a prenderlo. Facciamo un tratto insieme?”. Ci incamminiamo a passo svelto. Amélie racconta, le mani aggrappate alla tracolla della borsa, le espadrillas violette scambiate dall’acqua di mare: “Mi sono imbarcata con mio marito, i miei quattro figli di 6, 8, 12 e 15 anni. E il cane. Tin Tin. Abbiamo acquistato una barca a vela, dopo aver venduto tutto quello che avevamo. Abbiamo lasciato la Francia, circa nove mesi fa, navigando fino in Senegal e facendo scalo in altri paesi africani costieri per poi fermarci in queste isole di Capo Verde. Contiamo di rimanere qui ancora qualche mese e dopo attraverseremo l’Atlantico: prima tappa Brasile, seconda Venezuela, terza Stati Uniti. Oltre a realizzare il sogno di mio marito, che è quello di navigare in barca a vela, insegnerò ai miei figli tre lingue: portoghese, spagnolo e inglese. Io e Michel faremo da insegnanti ai ragazzi, che alla fine, per ottenere i loro diplomi, dovranno superare alcuni esami concordati nel programma speciale fornito dal ministero d’istruzione francese. Periodicamente, inviamo i risultati di ciò che hanno acquisito alla scuola di riferimento in Francia.”. Spiega con calma orgogliosa Amélie; frasi riassuntive e chiare, si vede che ha già spiegato la sua storia un sacco di volte, prima a parenti ed amici, poi a conoscenze occasionali come me, e quindi in lingue diverse.
Amélie mi piace, mi intriga la storia della sua famiglia; le racconto che...............................................................................
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Una scelta radicale, nel vero senso del termine, perché proprio di radici si tratta, o meglio di sradicamento assoluto dai legami affettivi, dal territorio, dalle convenzioni sociali, dalla sicurezza economica e dai simboli; da tutti gli status di realizzazione e benessere. Amélie e Michel nella loro vita precedente erano degli industriali che hanno lasciato tutto, venduto tutto, e si sono buttati senza paracadute nell’oceano, preventivando di affrontare cinque o sei anni in mare con quattro figli. Mi sono sembrati un incredibile esempio di un’unicità. Aldilà della situazione economica attuale, è un’azione di coraggio uscire dagli schemi, cercare di fare quello che piace pagandone le conseguenze; ma ciò che più mi impressiona di una scelta del genere è che ti scaraventa fuori dal gregge e devi pensare e riflettere con la tua testa. Pensare con la tua testa, oggi, adesso, nell’era globale: un’impresa quasi impossibile.
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Allora, mi accendo un’altra sigaretta e mi consolo, perché alla fine ognuno di noi ha i suoi sogni proibiti, chi una spiaggia caraibica, chi invece un reality show. Questa volta niente citazione, solo una scena di Caro Diario, 1993, regia di Nanni Moretti: l’amico Gerardo fugge da Alicudi, salta sul traghetto gridando a squarciagola, disperato: “Voglio la televisioneeeeeee!!!!!!!!!”.
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