Qualche anno fa. Aprile. Di sicuro prima di Pasqua. Equipaggio di quattro amici che per una migliore armonizzazione si era anche sottoposto a un programma di mostre giapponesi e brunch domenicali giusto per essere certi di condividere più aspetti della vita. Che la vela è una metafora della vita dopotutto.
Due avevano una storia, altri due aspiravano. Lieve e struggente complicazione.
Treno Milano Trieste, classico pc, cellulare, la connessione cade, amen.
Grigio. Plumbeo. Cumulonembi dappertutto. Piove che Dio la manda. Un freddo.
Questo trasferimento era un’emozione, il mio primo, sei giorni Trieste – Rogoznika, con a bordo una specie di guru della vela peccato che non era anche un guru dell’amore. Vabbè.
Oceanis 461 nuovo di zecca che in quattro ci stavamo ampi e una cabina la usavamo come guardaroba. Cerate stivali calzini ‘pile’ e tutto il repertorio.
La cambusa, come la cucina è l’utero della casa, è il cuore caldo della barca. Ci abbiamo messo dell’affetto come si conviene a una rotta medio lunga in luoghi non conosciutissimi con possibili fami da ansia e da freddo.
La neve sulle cime delle montagne della Dalmazia ci dava un brivido dal capello all’alluce, avevamo le tazze nescafè sempre piene di qualcosa di caldo che sembravamo quelli dello spot. Luca ha inventato una cosa fatta di rum e succo di mela che ha battezzato con un nome simile a Szot, ma non mi ricordo bene. Del resto non ci si poteva aspettare qualcosa di diverso da uno che va pazzo per i libri di Chuck Palanhiuk, mi aveva regalato Dance Dance Dance di uno scrittore giapponese contemporaneo ambientato in un albergo spettrale e Valzer di Un Giorno di Gianmaria Testa che ascolto ancora adesso.
Silvia stava spesso male, sopra o sottocoperta non importa. Sempre nausea. Correva a poppa sovente. Che disastro. Ci eravamo affiatate parecchio in una vacanza in Sardegna, bella barca, Palau – Maddalena –Budelli – Corsica. Bell’equipaggio di gente magicamente e chimicamente simile, siamo rimasti amici per un bel po’. Belli i pacchetti e le carbonare insomma le solite cose, ma io era po’ che non andavo in barca e i posti e i momenti erano davvero speciali. Non lo dicevo solo io. Poi lo skipper armatore era un grande, piaceva a tutte e due. Mi ha insegnato a cazzare il meolo che fa sempre una differenza sulla balumina del fiocco.
Tornando alla Croazia comunque abbiamo trovato una sola giornata di sole a Pola che sembrava di sognare. Tavolini dei bar all’aperto, piazzetta animata con fontanella e reti stese. Ce la siamo goduta e come i criceti abbiamo immagazzinato quel tepore che doveva durare per un po’.
E poi via quaranta, cinquanta miglia al giorno no stop spesso a motore per tenere la tabella di marcia. E quando non reggevo fuori, giù sottocoperta al freddo, meno male che mi hanno prestato un secondo paio di pantaloni, così potevo stare accoccolata in dinette a pensare e leggere, ho anche scritto una mail che mandarla di lì non era uno scherzo:
IL MARE ... è bello viverlo da soli ma anche condividerlo, come tutto del resto.
Il mio legame con il mare comincia credo nei geni poi va avanti con il mio segno che è quello dei pesci e non finirà mai.
E ho riscoperto il piacere di navigare, allora siamo partiti da Trieste sotto la pioggia e il mare era plumbeo come anche il cielo e l'anima in forse solo i gabbiani continuavano a chiamarsi poi quella nausea balorda tutto il giorno non ha mai smesso.
Quando proprio credevo di non farcela avrei voluto il maglione di qualcuno già caldo da mettere, sotto coperta rannicchiata triste ma di quella tristezza felice, da mare insomma, allora da nord è arrivata una lama di sole e ha riscaldato la superficie delle onde e gli occhi e la cima delle montagne della dalmazia innevate. Allora finalmente senti che le cose si trasformano, le onde per prime perché non stanno mai ferme, ti buttano fuori un delfino da un momento all'altro che ti viene voglia di accarezzarlo.
Così si è acceso il tramonto su un giorno che sembrava perduto, su un tempo che ora rivorrei ma era già condannato a virare, e i giorni dopo brulli, lungo isole sperdute quasi da robinson e il vento in fronte con i nodi che sono venuti tutti al pettine ma non erano tanti.
La gioia della notte in rada e forse in giro c'erano i pirati o era bello pensarlo e si dondola con lo sciabordio lieve che ti accarezza.
Scendendo verso sud abbiamo trovato porticcioli di isole quasi deserte sempre con qualcuno che ci correva incontro proponendoci di pranzare nel loro ristorante, dei calamari così buoni non li ho più mangiati. Insalata dell’orto come quella di Maramao.
E poi le Cornati, mitiche Incoronate. Le abbiamo fatte dall’interno, il mare era più clemente. Pelate come patate, se penso alle Ebridi le immagino così. Basse scure tante. Sotto un cielo cupo. Ma è così che le voglio ricordare, sotto il sole non comunicherebbero altrettante emozioni…Marco era sempre a fare rotte e a far su cime nel poco tempo in cui non stava al timone, ha anche lavato il ponte, una grande lezione anche quella: da prua a poppa. Mi prendeva in giro per il piede marino, facevamo degli ormeggi silenziosi e magistrali. Peccato che la storia sia finita lì. Un giorno dopo che facendo una passeggiata sulla cima di una delle isole avevamo trovato dei bellissimi fiori di tanti colori, ecco dicono che non si portano mai fiori in barca ora l’ho capito.
Ma il sonno in quella rada anche se ho pianto è stato dolce, Luca diceva che se fossero arrivati i pirati gli avrebbe fatto un parlato veloce al collo. In effetti di notte capitava di sentire il motore di una barca e poi c’eravamo solo noi: avrebbero potuto farci qualunque cosa nel più puro stile Conrad.
Ricordo che abbiamo parlato ma non troppo, le nostre cene nel quadrato erano ordinate e qualche volta si rideva, parecchio, poi tutto tornava tranquillo. Che bella atmosfera. Che bella famiglia. L’acqua fumante e la pasta e il sugo come da bambini. Al ritorno ho sofferto per giorni, abbiamo sofferto perché ci scrivevamo di continuo, nel traghetto di ritorno ho perso un anello che era quello che sognavo per il fidanzamento.
L’ultimo pranzo è stato nel porto di Rogoznika, nuovo di zecca, ristorante di lusso con agnello e vino rosso perché era Pasqua. Dovevamo festeggiare il giorno della resurrezione e l’arrivo a destinazione e la consegna della barca. Il mio primo trasferimento, forse la mia più grande emozione in vela. Forse la nostra.
R.
venerdì 20 novembre 2009
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